A cura di Rino Rao,
Commissione Cultura ASI
Gesù era un vigoroso camminatore e negli anni del suo magistero visitò più volte, quasi sempre in compagnia dei suoi discepoli, tutta la Palestina, dalla Galilea sino alla Giudea, spingendosi anche in Fenicia. Era un viaggiatore povero, senza alcuna provvista, che confidava nell’ospitalità della gente più umile. Domenica 2 aprile, in Giudea era una di quelle radiose mattinate primaverili, dense di aromi della campagna, quando una moltitudine di gente festante s’incamminò sulla strada per Betania per incontrare Gesù che, a sua volta, era già in cammino per Gerusalemme. Egli, seguito dai discepoli, si inerpicò sul fianco destro del Monte degli Ulivi ed appena in vista della vetta svoltò a sinistra e raggiunse un pianoro dal quale si godeva una magnifica vista di Gerusalemme. In quella spianata, Egli incontrò la folla infervorata ed osannante che gli era andata incontro. Fu allora che Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: “andate nel villaggio che vi sta di fronte e subito entrando in esso troverete un puledro legato sul quale nessuno è mai salito. Slegatelo e conducetemelo. E se qualcuno vi dice: < perché fate questo? > Rispondete: il Signore ne ha bisogno e subito lo rimanderà qui…… (i discepoli) condussero il puledro da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed Egli vi montò sopra” (Marco 11.1-7). Un puledro d’asina, come mai una simile scelta? Non sembra possibile motivarla con semplice stanchezza, giacché il Nazareno era un infaticabile camminatore; piuttosto, Egli intendeva dare maggiore solennità al suo ingresso nella capitale giudea e per farlo scelse un modesto asino, simbolo nell’Antico Testamento della pace, della dolcezza e della modestia, così come il cavallo lo era del lusso, dell’arroganza, delle rapine e della guerra. Infine, la scelta di un puledro “sul quale nessuno si fosse ancora seduto” (Luca 19.30) indica chiaramente il carattere messianico di quella scelta anticipata da Zaccaria (19. 30): “ecco a te viene il tuo re giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. La scelta di Gesù di un umile asinello per solennizzare il suo trionfale ingresso in Gerusalemme ribadiva la sua predilezione per la povertà ed una liturgia non fastosa, ma semplice ed umile.
Dall’alto, Gesù entra a Gerusalemme cavalcando un puledro d’asina (Giotto); l’Imperatore Costantino regge le briglie del cavallo di Papa Silvestro I (Storie di Costantino); Papa Clemente XIV impartisce la benedizione da un magnifico destriero riccamente bardato (Giovanni Porta); la portantina era una comoda alternativa, agli equini e alle carrozze, per brevi spostamenti; la seconda versione della meravigliosa Carrozza di Gran Gala (1841) custodita nel Padiglione delle Carrozze dei Musei Vaticani; 1896: Leone XIII, a bordo di una elegante landò, è stato il primo Papa ad impartire la benedizione mediatica.
Tuttavia, l’esempio di Gesù non fu seguito dai suoi vicari se non, all’alba del cristianesimo, dagli immediati successori di San Pietro. Infatti, malgrado l’imperversare delle persecuzioni, la Chiesa, già all’inizio del II secolo – mentre cercava di stabilizzare l’autorità papale e di organizzare le sue gerarchie – si arricchiva con le donazioni e i lasciti delle ricche famiglie dei patrizi convertiti.
Nel volgere di quel periodo, il Papa aveva abbandonato l’asino in favore di muli e cavalli bianchi e l’umile tonaca per un vestiario sacramentale via via più simbolico, ricco e ricercato. L’utilizzo di un bel destriero bianco, montato da un Vicario di Gesù, ci è tramandato da un dipinto che celebra lo storico incontro di Papa Silvestro con l’Imperatore Costantino. In esso possiamo ammirare l’eleganza del Papa con il pallio e la tiara, simboli del suo potere spirituale e temporale. Secondo la tradizione, Egli ricevette da Costantino, insieme alla città di Roma, la preziosa tiara triregna, simbolo della superiorità del potere papale su quello imperiale. Ricordiamo che questo riconoscimento, che legittimò il potere temporale del Papa, sebbene in quel tempo più formale che sostanziale, fu aspramente criticato da Dante: “ahi Costantin di quanto mal fu madre non la tua conversione, ma quella dote che da te prese il primo ricco padre” (Inferno XIX 115-117).
Erano appena passati due secoli dal trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme a cavallo di un puledro d’asina, vestito con una spartana tunica, ricoperta da un modesto mantello, senza alcun segno del suo potere, ma quale solco si era scavato fra quell’umile semplicità del Cristo e lo splendore dei suoi vicari!
In realtà la Chiesa, trovandosi ben presto ad interagire, per la sua stessa sopravvivenza, con i potenti della terra, fu indotta ad adottare i loro stessi simboli, organizzandosi come una società teandrica, composta da un aspetto divino ed uno umano. Dell’aspetto umano fecero parte le istituzioni, i ruoli, le celebrazioni, i simboli del potere, stabilendo un modus vivendi che ne ha caratterizzato il suo operare, dapprima per salvare la fede, poi per la conquista del potere temporale, sino ad arrivare all’istituzione del Papa-Re. Sin dalle origini, il magistero del Papa fu legato alla necessità di muoversi da un luogo all’altro di Roma e dei suoi possedimenti, ma in tempi moderni, privato di ogni potere temporale, al pellegrinare per il mondo per testimoniare la fede. Il viaggiare divenne metafora della vita della stessa Chiesa e Giovanni XXIII ebbe a dire “la vita della Chiesa è un pellegrinaggio”.
Il movimento fra le mura vaticane, i brevi viaggi, il pellegrinare dei Papi, hanno necessitato di mezzi di trasporto che nel tempo si sono evoluti, secondo la tecnica ed i costumi. Passiamo così dall’asinello di Gesù, ai muli ed ai cavalli del Medio Evo, alle portantine, all’opulenza delle carrozze del XVIII secolo, alle splendide automobili post Concordato ed infine alla Papamobile, per ritornare alla sobrietà imposta da Papa Francesco che ha abolito l’uso di automobili lussuose in favore delle utilitarie, fino ad inserire nel Museo Vaticano delle Carrozze una bianca Renault 4, come quella che usava quando era Arcivescovo di Buenos Aires.
Il Papa ha sempre viaggiato; per noi è tempo di riprendere il nostro viaggio attraverso i mezzi che ne sono la testimonianza.
Dopo la rappresentazione del bianco destriero, montato da Silvestro in occasione del suo incontro con Costantino, numerose testimonianze ci sono pervenute dell’utilizzo papale degli equini, impiegati in missioni pericolose come quella di Papa Leone Magno che ferma Attila, e comunque protrattasi sino al XVII secolo. In alternativa agli equini, sempre rigorosamente dal mantello bianco, veniva utilizzata la comoda portantina o la sedia gestatoria, successivamente usata da Papa Giovanni XXIII. Abolita da Giovanni Paolo II, fu riutilizzata proprio da lui, quando negli ultimi anni del suo papato era infermo.
Si ritiene che l’inizio “ufficiale” dell’uso della carrozza papale sia avvenuto col rapimento dal Quirinale – ad opera di Napoleone nel 1798 – di Pio VI morto in esilio nel 1800. Dopo quel debutto, le carrozze pontificie vennero spesso utilizzate per solennizzare eventi storici come, ad esempio, l’ingresso a Roma di Pio VII, che così rimarcò l’avvenimento: “da Roma hanno portato via il Papa in carrozza, ora il suo successore ritorna in carrozza e la vita della Chiesa riprende”.
La più antica carrozza papale, custodita nel Padiglione delle Carrozze dei Musei Vaticani, fondato da Paolo VI nel 1967, è la meravigliosa Berlina di Gran Gala, il reperto più pregiato della collezione. La sua costruzione, affidata al carrozziere romano Gaetano Peroni, iniziata sotto il pontificato di Leone XII (Annibale della Genga 1823-1829), fu completata da Gregorio XVI (1831-1846) che nel 1841 fece eliminare la seduta dei tre cocchieri per evitare che volgessero le spalle al Papa. I postiglioni avrebbero condotto il tiro a sei, montando i cavalli di volata, secondo il coreografico e sicuro schema alla d’Aumont. Al posto della seduta, furono inseriti due grandi putti alati che sorreggono una magnifica tiara nelle cui infule è inciso lo stemma di Gregorio.
Leone XIII, passato alla storia per l’enciclica De Rerum Novarum, fu un Pontefice che, pur attento all’evoluzione della scienza, rimase fedele alla politica “ultramontana” del suo predecessore Pio IX. Egli, durante il suo lungo magistero conclusosi nel 1903, cercò di ammorbidire i toni del confronto con il governo italiano, ma continuò a non riconoscere le Guarentigie e si chiuse in volontario esilio entro le mura del Vaticano. In tutto quel lungo periodo, che va dal 1878 sino al 1922, quando fu eletto Pio XI, i Pontefici continuarono a servirsi, per i loro limitati spostamenti entro le mura del Vaticano, di sobri cocchi, in prevalenza trainati da una pariglia di cavalli.
Dall’alto, in senso orario, la Itala 20/30, prima automobile entrata in Vaticano nel 1909, era un landaulet carrozzato a Torino da Locati & Torretta; la Bianchi Tipo 15 con a bordo il Pontefice e la statua della Vergine di Loreto; 21 marzo 1929, Vaticano, Cortile di S. Damaso: Giovanni Agnelli presenta al Pontefice la Fiat 525; l’imponente Mercedes Nurburg, dotata di un potente ed elastico propulsore; la Lictoria Sex era un landaulet appesantito dalle dorature delle parti metalliche; l’austera eleganza della Graham-Paige Tipo 837.
La prima automobile entrata in Vaticano, una Itala 20/30 donata nel 1903 dall’Arcivescovo di New York, rimase inutilizzata sia da Pio X che dal suo successore Benedetto XV. La stessa sorte subirono la Fiat Tipo 2, donata dal Cardinale Bonanzo, e una vettura statunitense che, prima dello scoppio della Grande Guerra, raggiunsero la rimessa papale. D’altra parte, il profilo di Pio X, pubblicato dal giornalista Emilio Zanzi sulla Stampa Sportiva, lo descrisse come un podista che odiava le automobili: ”il vecchio contadino non volle mai salire sulle carrozze che fanno teuf-teuf”.
Pio XI, uomo dalla forte e coraggiosa personalità, poliglotta e dotato di fine intuito politico, fu il Papa dei 18 Concordati. Ex alpinista di vaglio ed aperto alle conquiste della modernità, soppresse il Servizio Carrozze e Cavalli, dandone notizia con uno scarno comunicato stampa, e adottò l’automobile come mezzo di trasporto ufficiale del Vaticano.
La prima automobile di Papa Ratti fu una Bianchi Tipo 15, donata nel 1925 dall’Associazione delle Donne Cattoliche dell’Arcidiocesi di Milano ed utilizzata, per la prima volta dal Pontefice in occasione del trasporto della statua della Madonna di Loreto da Roma al Santuario. L’auto, scortata da un corteo di vetture, arrivò a destinazione con un ritardo di oltre sei ore.
Alla Bianchi Tipo 15, vettura relativamente modesta, l’anno dopo seguì la più evoluta Tipo 20. Anche questa vettura, non particolarmente imponente né lussuosa, era adatta agli spostamenti entro il Vaticano.
Una vera gara, per fornire al Papa una vettura di rappresentanza all’altezza del suo rango, si scatenò nel 1929, dopo i Patti Lateranensi, fra le più importanti case del mondo. L’abolizione del servizio Carrozze e Cavalli fu un necessario allineamento all’evoluzione dei trasporti meccanizzati, divenuti affidabili e veloci, cui il Vaticano non poteva sottrarsi, anche in previsione del nuovo ruolo al quale si stava preparando, un ruolo che lo avrebbe affrancato dalla volontaria prigionia, finalmente libero, dopo 70 anni, di esercitare il proprio Magistero in Italia e nel mondo. La risposta entusiasta delle organizzazioni cristiane italiane, per venire incontro alla nuova esigenza di motorizzare la mobilità del Pontefice, ne testimoniò ancora l’amore che – malgrado l’esito disastroso dei referendum per l’annessione degli Stati Pontifici – non era venuto meno, soprattutto nelle classi più agiate.
La Fiat fu la più pronta, offrendo in dono la sua ammiraglia, una splendida 525 con carrozzeria speciale – su indicazione del protocollo vaticano – dal reparto Carrozzerie Speciali della Casa, all’epoca diretto da Revelli di Beaumont. L’automobile, presentata al Pontefice dal Senatore Agnelli, era verniciata in una bella tonalità di rosso amaranto, con parafanghi neri e cerchi dotati di eleganti dischi. Sull’imponente radiatore spiccava lo stemma del Vaticano e sulle portiere posteriori quello di Papa Ratti. L’abitacolo differiva dalla versione di serie per il divisorio che separava lo chauffeur dallo scompartimento posteriore, rivestito in velluto rosso con due poltrocine separate ed arricchite da cuscini di seta in tinta. Gli strapuntini erano stati invertiti nella loro posizione in modo che i dignatari sedessero a “dorso marcia” senza dare le spalle al Pontefice.
La cerimonia della presentazione dell’automobile, avvenuta nel cortile di S.Damaso, fu solennizzata, all’apparire del Pontefice, da squilli di tromba, seguiti dall’Inno Pontificio del Corpo Musicale della Guardia Palatina d’Onore. Nel cortile erano presenti 500 operai, in rappresentanza delle maestranze. La vettura, spedita a Roma per ferrovia, aveva varcato il Vaticano guidata dal Capo Collaudatore ed ex asso del volante, Felice Nazzaro, che avrebbe dovuto illustrare al Pontefice le caratteristiche tecniche e rispondere ai suoi quesiti; il vecchio campione, fervente cattolico, sopraffatto dall’emozione si confuse, ma fu prontamente sostituito da Agnelli.
Era trascorso poco più di un mese, quando il 1° maggio una seconda meravigliosa e regale automobile venne donata al Papa: una Isotta Fraschini 8A. Il memorabile evento fu organizzato da Arturo Mercanti, dinamico e popolare Direttore del Reale Automobile Club di Milano, che aprì una sottoscrizione alla quale i milanesi aderirono con generosità, raggiungendo una cifra tale da potere acquistare, al costo di L. 120.000, una Isotta Fraschini 8A, allestita dalla Carrozzeria Sala. Verniciata di un bel rosso amaranto, aveva i parafanghi di una tonalità più scura. Le maniglie e tutti gli accessori metallici erano dorati e lo stemma papale, fissato alla sbarra di collegamento dei due enormi fari, era inciso sulle maniglie esterne degli sportelli e sulle portiere posteriori. La vettura era dotata di quattro sportelli e sei finestrini di cui quattro abbassabili, di sei posti di cui due sugli strapuntini, usabili sia fronte che retro marcia. L’amplio divano posteriore poteva essere facilmente trasfomato in un’unica poltrona centrale, in funzione di trono papale. Il divano anteriore, separato da un vetro abbassabile, era tappezzato in pelle rossa e quello posteriore in damasco rosso a piegoni. Lo scompartimento posteriore era dotato di un segnalatore elettrico, a sette posizioni, per dare istruzioni allo chauffeur. Sotto il separatore erano installati due armadietti adibiti l’uno a porta cordiali, l’altro ad un servizio da toilette. Altri piccoli comparti erano adibiti a porta breviario e portasigarette con accendino. La vettura era dotata di numerosi altri accessori, come ad esempio il baule rivestito in pelle rossa [1].
Per la presentazione al Papa del regale dono, Mercanti organizzò una grandiosa manifestazione, denominata “I° Pellegrinaggio Automobilistico in Vaticano”, alla quale aderirono 150 macchine, che presero il via in carovana dalla sede del R.A.C.I. il 30 aprile, per raggiungere il Vaticano il 1° maggio.
Alle 16.00, le 123 vetture scrutinate furono parcheggiate nel cortile di San Damaso. La 8A fu sistemata su una pedana tapezzata, ai piedi della tribunetta con il trono papale dal quale il Pontefice pronunciò un conciso discorso di ringraziamento, sottolineando come il dono della magnifica automobile assumesse una particolare valenza dopo la Conciliazione fra lo Stato Italiano e la Chiesa.
Prima che si chiudesse l’anno del Concordato, una terza automobile venne donata al Pontefice: la Graham- Paige tipo 837, vettura statunitense realizzata in versione ladaulet dalla carrozzeria Le Baron. Questa automobile piacque moltissimo a Pio XI, per il comfort di marcia, la sobria eleganza ed il tetto decappottabile del sedile posteriore.
La vettura fu usata da Papa Ratti il 22 dicembre del ’29, quando raggiunse il Laterano per celebrare il 50° anniversario del suo sacerdozio, e da Pio XII quando, nel dicembre del ’39, rese visita al Quirinale a Re Vittorio Emanuele III.
Una quarta automobile fu donata al Pontefice il 9 giugno del ’30: una Citroën Lictoria Sex, allestita negli stabilimenti milanesi della Casa di Quai d’Orsey e presentata come un dono delle maestranze. La vettura, denominata Lictoria Sex per compiacere il Duce, era verniciata in amaranto ed ostentava una esagerata opulenza sia all’esterno che all’interno.
La macchina non incontrò il favore del Pontefice, già orientato verso allestimenti sobri, come quello della Mercedes Nurburg. Le sortite della Lictoria Sex, mai utilizzata in eventi ufficiali, furono rarissime. La macchina fu esposta nella sezione speciale delle Berline Papali, all’interno del Museo delle Carrozze, istituito nel 1967 e ristrutturato nel 1973 sotto Paolo VI.
Se con cinque automobili le esigenze del trasporto papale erano ben coperte, non altrettanto poteva dirsi per le necessità della Curia costretta a ricorrere all’autonoleggio. Per sopperire a quel disagio, nel maggio del ’32 vennero acquistate cinque Buick e cinque Cadillac.
Durante la II Guerra Mondiale furono rare le uscite dal Vaticano di Papa Pacelli che cercò con la diplomazia di mediare fra l’Asse e le Forze Alleate. Con la ritirata del Reich dall’Italia e l’avvicinarsi a Roma degli Alleati, la Città Eterna non fu risparmiata da massicci bombardamenti che causarono la distruzione di palazzi, monumenti e chiese, dell’Università La Sapienza e del Cimitero del Verano, con gravissime perdite umane fra i civili, colpiti anche dalle mitragliatrici. L’obbiettivo della massiccia incursione del 19 luglio – alla quale parteciparono 662 fortezze volanti, scortate da 268 caccia – era lo scalo merci di S. Lorenzo, insieme ai terminali degli snodi sud-orientali , ma ci furono 3.000 morti e 11.000 feriti.
La magnifica Mercedes 300 Landaulet, con mantice chiuso. L’imponenza e la maestosità della Mercedes 600 Landaulet viene esaltata dal parossismo della sua linea geometrica. All’interno il trono papale rivestito in velluto grigio. Ai lati, due mobiletti per la cancelleria, breviario, radio e cordiali.
Il bombardamento non era ancora cessato, quando Papa Pacelli decise all’improvviso di portare conforto ai superstiti del popolare quartiere di S. Lorenzo. Uscì dal Vaticano intorno alle 14.00, a bordo della Mercedes 290 Castagna, accompagnato da Monsignor Montini che nella tonaca nascondeva una scorta di denaro. Alla Mercedes si accodò una Fiat “Topolino” guidata dal Conte Pietro Galeazzi, carica di generi di prima necessità. Il piccolo convoglio raggiunse il sagrato della Basilica di S. Lorenzo, completamente distrutta. Il Pontefice, sceso dall’auto, pregò, benedisse e confortò l’immensa folla strettasi intorno a Lui, che fu macchiato del sangue dei feriti.
Il Papa, tradito dalla proverbiale teutonica affidabilità della Mercedes, fece ritorno a bordo della “Topolino” del Conte Galeazzi. Questo episodio, come ha dimostrato il quotidiano cosmopolita Metro, per molti anni è stato confuso con un altro di non minore importanza, accaduto il 13 agosto quando Pio XII raggiunse la chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio in Laterano per celebrare una Messa in suffragio delle vittime di S.Lorenzo; ma era appena arrivato, quando inizò la seconda incursione aerea. Il Pontefice aveva raggiunto la chiesa a bordo della Graham-Page e appena sceso dalla vettura, con le braccia spalancate come sulla croce del Cristo, impartì la benedizione. La scenografica benedizione del Papa fu ripresa da un reporter e per anni venne erroneamente attribuia alla precedente visita del Papa a S.Lorenzo del 19 luglio.
Anche il 13 agosto ci fu un’avaria all’auto del Papa, che fece ritorno in Vaticano a bordo della Mercedes Nurburg. Papa Pacelli fu il coraggioso protagonista dei due eventi, ma un ruolo non secondario l’ebbero le quattro macchine coinvolte: la Mercedes 290, la Graham-Page 837, la Mercedes Nurburg e la modesta, simpatica ed efficiente Fiat “Topolino”.
Cessato l’immane conflitto, nel 1947 in Vaticano si provvide a svecchiare la piccola flotta del Pontefice con l’acquisto di due Cadillac, una 75 ed una 49 carrozzate Derham. A queste ultime, nel ’54, si aggiunse una Chrysler Imperial Ghia fornita di tetto trasparente, raramente usata dal Papa, che invece amava la Cadillac 75, con la quale raggiunse, per l’ultima volta, Castel Gandolfo dove morì, gravemente infermo, nell’estate del ’58.
Gli succedeva Giovanni XXIII. Il suo papato, breve quanto intenso, introdusse nella politica e nella liturgia della Chiesa importanti aperture. Papa Roncalli fu amatissimo e popolarissimo.
In quel contesto, quale automobile poteva essergli più congeniale della Mercedes 300 landaulet? Era una macchina assolutamente magnifica, di una rara e sobria bellezza, soprattutto con la cappotta abbassata.
Toccò al suo successore, Paolo VI, attuare e sviluppare le riforme della Chiesa Cattolica per il mondo intero, cercando dappertutto la conciliazione. Egli fu per eccellenza il Papa Pellegrino che dedicò quasi metà del suo magistero a portare la parola di Dio, anche nelle terre più lontane.
Nel mutato scenario, le automobili papali non potevano rimanere le protagoniste dei viaggi del Papa, ma solo le comprimarie, relegate ormai alle trasferte locali. Infatti, il Papa usò l’aereo per raggiungere i più disparati angoli della terra e, una volta in loco, si servì delle automobili, sempre adeguate al suo status di Capo di Stato, messe a disposizione dalle autorità locali.
Per la sua prima missione, Papa Montini, accompagnato dal suo segretario Monsignore Macchi, lasciò il Vaticano in piena oscurità, alle 3 del mattino del 4 gennaio 1964, per raggiungere a bordo della Mercedes 300 l’aeroporto di Ciampino ed imbarcarsi su un aereo dell’Alitalia, per l’occasione interamente verniciato in bianco e con le insegne papali, destinazione Amman dove sarebbe stato accolto da Re Hussein . Dopo 159 anni, Paolo VI fu il primo Pontefice ad uscire fuori dall’Italia ed il primo ad utilizzare l’aereo. Per tutti i trasferimenti in loco Paolo VI utilizzò una Mercury nera, guidata dal suo autista personale, con la quale raggiunse Israele percorrendo circa ottocento chilometri, parte dei quali sulle piste desertiche.
Dal 1964 Papa Montini, per testimoniare la fede della Chiesa di Cristo, raggiunse numerose nazioni, città e località fra le quali ricordiamo Bombey, New York, Portogallo, Fatima, Istambul, Efeso, Smirne, Bogotà, Svizzera, Uganda, Sydney e Manila dove subì un attentato, riportando una ferita al costato, chiudendo il suo pellegrinare nel dicembre del 1970. Durante la permanenza nelle varie nazioni, i relativi governi gli misero a disposizione prestigiosi modelli Mercury, Chevrolet, Rolls Royce ,Cadillac, Lincoln, Buick e anche la Land Rover della quale il Pontefice apprezzò la grande visibilità che lo esponeva al pubblico dei fedeli.
Il viaggio nell’emisfero australe fu l’ultimo grande pellegrinaggio di Paolo VI che, successivamente, si limitò agli spostamenti tradizionali in Roma e dintorni ed ai ricorrenti viaggi per Castel Gandolfo, dove spirò nell’agosto del ’78.
Negli anni del Pontificato di Paolo VI la flotta vaticana si era arricchita di almeno tre veicoli molto interessanti: la Mercedes 600 landaulet, la Checker Marathon e la Toyota Land Cruiser.
La grandiosa Mercedes fu donata al Papa dalla Casa tedesca, nel settembre del ’65, con una cerimonia organizzata a Castel Gandolfo, alla quale partecipò lo stato maggiore della Casa tedesca.
L’automobile era imponente e con le sue semplici linee ben rappresentava élégie a l’angle poussée au paroxysme; equipaggiata con un poderoso V8 bialbero di ben 6330 cc della potenza di 250 CV e di cambio automatico, malgrado una massa di 2750 kg potesse, teoricamente, sfiorare i 200 km/h. L’allestimento degli interni, dotato di molte regolazioni elettriche, era sobrio ed accuratissimo. Il landaulet era dotato di tetto rialzato, di un magnifico mantice nero, azionabile elettricamente anche in marcia, e del trono papale contornato da due eleganti mobiletti in radica contenenti una radio e da stipetti per la cancelleria, toilette e cordiali.
Come da accordi, la vettura, quando dopo venti anni di servizio venne dismessa, fu restituita alla Casa e sin dal 1986 è esposta nel Museo Mercedes.
E’ interessante notare come anche una vettura minimalista, quale la Checker Marathon, per decisione di Papa Montini, sia entrata a fare parte della flotta vaticana.
Paolo VI, nel suo peregrinare per il mondo, apprezzata la visibilità e la sicurezza offerta dai fuoristrada, ne introdusse l’uso in Vaticano, in sostituzione della Sedia Gestatoria, ordinando l’acquisto, nella primavera del ’75, di una bianca Toyota Land Cruiser J 40, che fu frequentemente usata in Piazza S. Pietro, anche in occasioni solenni, come il Giubileo del ’75.
Il veicolo, divenuto popolare come Papamobile, incontrò anche il gradimento di Giovanni Paolo II che nel 1980 gli affiancò una Fiat Nuova Campagnola torpedo, sulla quale il 12 maggio dell’81 subì l’attentato di Alì Agca. Successivamente, furono approntate Papamobili più protettive, come la Land Rover 110 e la Mercedes 230 G , mentre, con l’avvento del metal detector, la Campagnola veniva nuovamente utilizzata in Piazza San Pietro.
Tra le automobili usate dai Papi, non possiamo non ricordare le quattro ammiraglie donate a Vojtyla, quali la Lancia Giubileo, la BMW 733i ed, infine, due Mercedes, la 500 SEL Guard, totalmente blindata, e la W 140 S 500.
A questo punto ci chiediamo: che fine hanno fatto le carrozze e automobili che abbiamo illustrato? Le carrozze sono custodite nel Museo Vaticano delle Carrozze. Meno esauriente è la risposta riguardo le automobili.
Dall’alto, Giovanni Paolo II sulla Fiat Campagnola divenuta famosa per l’attentato della quale fu vittima il 13 maggio 1981; la stessa auto venne utilizzata, insieme alle Mercedes-Classe G, anche da Papa Benedetto XVI; la Checker Marathon è lo stesso modello del film Taxi Driver; un dinamico Papa Francesco sta per provare una Renault 4, come quella che guidava quando era Arcivescovo di Buenos Aires.
Delle 17 automobili della flotta Vaticana qui descritte, 6 sono esposte nel Padiglione delle Carrozze: la Citroen, la Graham-Page, la Mercedes Nurburg, la Lancia Giubileo, la Fiat Campagnola e la Renault 4; una Cadillac 75 e la Checker Marathon nel NB Center di Nicola Bulgari; due Mercedes, i landaulet 300 e 600, presso il Museo della Mercedes-Benz di Stoccarda. Non avremmo quindi notizie di sette automobili, fra le quali spiccano per importanza la Fiat 525 berlina, la Mercedes 290 landaulet Castagna e la IF 8A berlina Sala della quale abbiamo ipotizzato la sorte (cfr. nota 1).
Chiudiamo con un doveroso pensiero a Papa Francesco che, cercando di realizzare uno dei suoi proclami ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri [2]… basta auto di lusso per la Chiesa [3], ha dismesso l’uso delle lussuose auto della flotta papale, preferendo utilizzare, inizialmente, sobrie auto di serie senza emblemi né trono, come la Volkswagen Phaeton, poi modeste utilitarie, quasi a richiamare l’umile asinello di Gesù, con il quale abbiamo iniziato questo reportage, attraverso le testimonianze di 2000 anni di storia, della mobilità pontificia.
NOTE
- Quando venne dismessa, sembra che la magnifica vettura sia stata donata alla Badessa di un noto convento di Grottaferrata (Suor Teresa Casini, fondatrice dell’Ordine delle Suore Oblate del Cuore di Gesù). Nel dopo guerra, convertita a camion, dopo un intenso uso, fu avviata alla rottamazione.
- Il Papa pronunziò questo auspicio applauditissimo da 6000 persone il 16 marzo 2013, in occasione dell’incontro con i media.
- Cfr. Il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2013.