Rivista La Manovella

La Manovella

La Manovella rivista ufficiale dell'ASI

Per dialogare con i propri Tesserati e per dare maggior eco possibile alle proprie iniziative, l’Automotoclub Storico Italiano è particolarmente attivo anche nel settore della comunicazione. Il primo strumento divulgativo di ASI è il magazine “La Manovella”, che ha origini addirittura precedenti alla fondazione dell’Ente, essendo nato nel 1961 come organo ufficiale del Veteran Car Club Italia.

Negli anni, la rivista ha modificato la sua linea editoriale e anche la sua veste grafica in funzione della crescita e del cambiamento dell’ASI. La Manovella diffonde la cultura e contemporaneamente tiene informati i lettori su quanto avviene nell’ambito della Federazione. La sua tiratura la pone ai vertici internazionali dell’editoria del settore e nettamente al primo posto in ambito nazionale.
Dal 2009 è operativa la società ASI Service srl, con l’Automotoclub Storico Italiano come socio unico, che ha come unici scopi la promozione, l’acquisizione e la gestione di ogni attività connessa con la conoscenza, la valorizzazione e lo sviluppo del motorismo storico, sia in Italia sia all’estero.

In questo numero si parla di...

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NEL NUMERO DI APRILE SI PARLA DI…

La copertina della Manovella di aprile è dedicata alla BMW M1, raffigurata in versione Procar “art car” disegnata da Andy Warhol, al via della 24 Ore di Le Mans 1979. L’idea della M1 nasce nel 1975 dal direttore della BMW Motosport Jochen Neerpash, che non si accontenta di stravincere nel Campionato Europeo Turismo, ma vuole puntare più in alto con un motore per la Formula 1 e una GT per il Campionato Mondiale Marche. Il 20 ottobre 1975 il consiglio d’amministrazione della BMW accoglie le idee di Neerpash e delega alla sezione Motosport lo studio di una berlinetta con il motore centrale sviluppato in sinergia con il motore per la Formula 1.

Nessuno è più bravo degli italiani per costruire le GT ad alte prestazioni e, per risparmiare tempo e denaro, la BMW Motosport, affida lo studio e la costruzione della meccanica alla Lamborghini che è lontana dalle corse, ma è capace di realizzare idee al limite della fattibilità come la Countach. Il 13 aprile 1976 la BMW sigla dunque il contratto con la Lamborghini per studiare e costruire in 2000 esemplari la GT provvisoriamente chiamata E26. In breve tempo la Casa di Sant’Agata, in collaborazione con il telaista Marchesi, appronta la struttura portante in reticolo di tubi con rinforzi di lamiera e, con la consulenza di Giampaolo Dallara, sviluppa le sospensioni con doppi bracci e molle a elica per ottenere il massimo dagli innovativi pneumatici Pirelli P7.

Per chiudere il cerchio, la Italdesign di Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani riceve l’incarico di definire lo stile con tre indicazioni: la E26 deve essere coerente con la destinazione agonistica, deve rispettare i canoni estetici BMW e deve recuperare le suggestioni della “show car” BMW Turbo (E25) disegnata da Paul Bracq nel 1972.

La BMW M1 pronta per essere commercializzata fa la sua prima apparizione ufficiale il 5 ottobre 1978 al Salone dell’Automobile di Parigi.

Il filo della memoria ci porta al ricordo dei fratelli Gino e Piero Valenzano. Per molti gentlemen drivers degli anni ’50 le corse – oltre che l’espressione di una grande passione – furono una medaglia, un mezzo di affermazione sociale, talvolta un cliché da esibire nei salotti buoni. Per i torinesi Valenzano, deportati a Mauthausen a poco più di vent’anni, le competizioni furono la riscossa con la gioventù rubata, la rivalsa sugli anni tetri, dove la morte era la possibilità più probabile.

Una delle regine del museo intitolato al collezionista indiano Pranlal Bhogilal è la straordinaria Mercedes-Benz 540 K, una delle sole due presenti nel Paese. Vettura dal lusso e dalle prestazioni eccezionali all’epoca, fu acquistata da un giovanissimo maharaja appassionato di auto esclusive e sempre rimasta in India.

La Kawasaki 750, dalla “Stinger” alle “M” di metà anni ’90, oltre al titolo iridato portò la Superbike nei garage degli appassionati di supersportive estreme, tanto amate in quel periodo. Prima ancora di chiamarsi Ninja e di confondersi con altri modelli dallo stesso celeberrimo nome, la supersportiva della casa di Akashi saprà tramutare su strada tutte le sensazioni di una moto da gara, la ZX-7R.

La Morris Cowley è sempre stata la versione economica della Oxford, premiata da un prezzo più accessibile e da un allestimento comunque soddisfacente: nella sua lunga carriera ci saranno momenti in cui supererà in numeri di vendita la sorella più rifinita.

Bisogna aspettare il Motosalone di Milano del 1953 per vedere la C.M. ritornare a proporre un modello a quattro tempi. La moto che dovrebbe rilanciare l’azienda bolognese e mettere la sua gamma alla pari con la concorrenza, è la Francolino, una 175 monocilindrica che in varie versioni rimarrà in listino sino alla chiusura della fabbrica nel 1959.

La Opel Diplomat è un’ammiraglia d’alta gamma dotata di un pastoso V8 sotto il cofano: questi gli ingredienti del Costruttore per una delle vetture più osate, vistose e lussuose della sua gamma altrimenti generalista.

Con il Model Year 1968 la Dodge Charger si presenta con l’iconico frontale affilato e l’aggressiva livrea “Bumble Bee”: una vera “bruciasemafori” che però, inaspettatamente, alla guida risulta piacevole, progressiva e favorita dal suo V8 big block proverbialmente elastico.

Chiudiamo la carrellata delle Ferrari in esemplare unico e “one-off” con alcuni modelli davvero singolari utilizzati nelle competizioni ma anche la leggendaria 250 GTE del Maresciallo Spatafora e la misteriosa “Ferrarina”.

Erede del celebre furgoncino AK su base 2CV, la Citroën Acadiane è stata testimone dell’apprezzamento dei veicoli utilitari derivati tra gli artigiani francesi e non solo.

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