ADDIO AD ALDO BROVARONE, MAESTRO DI STILE

Gioviale, simpatico, cortese, sempre sorridente. Il torinese d’adozione Aldo Brovarone, perché nato a Vigliano Biellese il 24 giugno 1926, non dimostrava affatto le sue rispettabilissime 94 primavere. Era un personaggio rimasto nell’ombra per molti anni, fino a quando non è stato “riscoperto” sul finire degli anni ‘90. Ci ha lasciato lunedì 12 ottobre 2020, pochi giorni dopo la morte della moglie Martarita.

Brovarone era uno stilista di automobili, ha legato la sua carriera professionale alla carrozzeria Pininfarina per la quale ha lavorato dal 1952 al 1988. Alcune sue creazioni? Tanto per iniziare, la Maserati A6 CGS berlinetta del 1953 – un debutto con i fiocchi – poi la Ferrari Superamerica Super Fast II del 1960, che ha dato l’impronta formale a tutta una generazione di vetture del Cavallino a motore anteriore. Sua era anche la forma della Dino Berlinetta Speciale realizzata per il Salone di Parigi del 1965, le cui soluzioni stilistiche hanno caratterizzato le successive produzioni Ferrari con motore centrale fino alla Testarossa del 1984. Dalla Berlinetta di Brovarone sono nate le Dino 206 e 246.

Per il marchio Alfa Romeo si ricordano la Giulia Sport Tubolare, anche questa del 1965, e le proposte Super Flow che hanno portato alla Spider prodotta in serie e meglio conosciuta come Duetto. Per Lancia aveva disegna la Gamma Coupé (1976), poi declinata nelle varianti Scala (berlina), Olgiata (giardinetta) e T-Roof con tetto apribile sdoppiato. Per la francese Peugeot, nel 1968 il suo tratto generava la berlina di successo 504. Se tutto questo non fosse ancora sufficiente, si può chiudere in bellezza citando la Ferrari F40 del 1987.

Uscito dalla Pininfarina nel 1988 per raggiunti limiti di età, Brovarone non riusciva a smettere del tutto la sua attività. Continuava a disegnare – la sua vera missione – soprattutto per lo studio Stola. Sue sono la Dedica del 1988 derivata dalla Fiat Barchetta e la Monotipo Abarth del 1998.

Aldo Brovarone viveva ancora a Torino. Non aveva mai abbandonato la matita. Non usava il computer, non aveva nemmeno il telefono cellulare. Ma continuava a realizzare dei veri capolavori con la tecnica della tempera acquarellata. Illustrazioni poi stampate come cartoline collezionabili.

Il suo sogno era sempre stato quello di fare l’aviatore. Aveva la passione per il volo e per gli aerei. Da bambino, però, già scarabocchiava le automobiline. Nel 1935, uno zio aveva la Fiat 1500. Una vettura disegnata da Revelli di Beaumont e per l’epoca molto avanzata con quei fari annegati nei parafanghi, che avrebbe segnato l’immaginazione del giovane Brovarone. La guerra aveva interrotto i suoi studi presso un istituto tecnico di ragioneria. Dopo un anno trascorso nella Polonia occupata, nel 1949 partiva per l’Argentina, dove un altro zio gli aveva trovato lavoro come disegnatore in una ditta di elettrodomestici.

Nel frattempo, in Argentina, era arrivato anche Piero Dusio per avviare la Autoar (Automotores Argentinos), la prima fabbrica argentina di automobili. Brovarone, dopo aver preparato un po’ di disegni, si era presentato da Dusio che non ci pensò due volte ad assumerlo.

Prima ancora di aver costruito l’automobile, Dusio gli aveva fatto disegnare il catalogo illustrato dando a Brovarone una sola istruzione: sarebbe stata una giardinetta. Lo stilista si era alla moda dell’epoca e quando si era trattato di fare l’auto vera avevano preso spunto proprio dai suoi cataloghi. Rudolf Hruska dello studio Porsche aveva fatto il telaio e tutta la meccanica era Jeep, perché Dusio aveva ricevuto un grande stock dall’America di questi veicoli. C’erano le versioni giardinetta, coupé e pick-up. Finito lo stock Jeep, Dusio avrebbe chiuso la fabbrica. Il figlio Carlo sarebbe tornato in Italia riprendendo l’attività della Cisitalia. Nel 1952 rientrava in patria anche Brovarone e, con la raccomandazione di Dusio, si presentava alla corte di Battista Pinin Farina. Dopo l’assunzione avvenuta nel 1953, Brovarone eseguiva come primo lavoro il disegno della Maserati A6 CGS. Una sorta di evoluzione della Cisitalia 202 un po’ più americaneggiante.

“Certe vetture nascevano direttamente in officina – ha più volte raccontato Brovarone – senza neanche passare dal centro stile. Il nostro ufficio era un’oasi felice, un ambiente ovattato dove nessuno poteva entrare. Ho sempre lavorato con piacere e non ho mai avuto problemi con nessuno. Con i colleghi si era molto affiatati, nonostante fossimo tutti in concorrenza. Quando c’era un nuovo lavoro, Pininfarina lo faceva fare a tutti per avere più scelta. C’era collaborazione, senza invidie e gelosie. Era un lavoro che necessitava anche di un certo equilibrio mentale. Se ad uno stilista non sceglievano mai il lavoro poteva anche andare in crisi”.

Nella sua carriera, benché lunga, Brovarone ha visti realizzati una dozzina di modelli. Ma i figurini disegnati erano centinaia. L’ispirazione veniva dal foglio bianco, magari prendendo spunto da qualche particolare già visto. Veniva dato lo schema della meccanica con gli ingombri e l’abitabilità. Si tracciava quindi la linea di mezzeria, lasciando spazio al motore e alle teste dei passeggeri. La parte più difficile era quella di inventare qualcosa di nuovo sulla fiancata.

Sono rimasti molti aneddoti sui modelli creati da Brovarone, che lui stesso ha svelato. “Per la Ferrari 400 Super America mi sono ispirato al muso delle monoposto Vanwall di Tony Vandervell, perché c’è sempre uno spunto che fa venire le idee. La vettura è nata seguendo fedelmente il mio disegno, anche se il muso l’avevo disegnato molto più appuntito. Per il prototipo Dino e per la F40 sono invece unito a Leonardo Fioravanti: sulla Dino ha eseguito il suo primo lavoro in Pininfarina modificandola per la produzione e sulla F40 ha lavorato sul mio ultimo incarico in Pininfarina. Due modelli che abbiamo fatto insieme in momenti della nostra carriera completamente differenti. Sulla 365 destinata a Gianni Agnelli, che chiamavamo ‘Dinone’, avevamo messo tre posti e la guida centrale. L’Avvocato aveva un problema alla gamba e faticava molto per entrare e uscire dalla macchina. Sul ‘Dinone’ avevamo fatto il sedile rotante e con la sua gamba rigida poteva prendere posto più agevolmente. La Peugeot 504 è uscita da un mio disegno: in origine aveva la linea a cuneo, ma a quei tempi non era ancora stata accettata. Il baule risultava quindi abbastanza alto e i francesi l’hanno modificato inclinando la coda che è diventata così ancora più caratteristica”.

Addio, Maestro. E grazie.